X SETTIMANA NAZIONALE DI STUDI SULLA SPIRITUALITA’ CONIUGALE E FAMILIARE

“Accoglietevi gli uni gli altri” (Rom 15,7) – Una casa per comunicare e per accogliere

Lo spazio è fondamentale, noi viviamo nello spazio che ci accoglie e ci racconta. Lo spazio è fondamentalmente relazione: tra noi e ciò che ci circonda, dei singoli elementi tra di loro; tra noi e gli altri. Se dovessimo definire il nostro tema con una parola potremmo dire allora: relazione.
Per acquisire energia e potersi relazionare, ognuno di noi ha bisogno di riconoscersi nella propria “area personale”. Lo spazio è il luogo della comunità e quindi possiede anche la funzione di aiutare a far comunità e può agevolare (o impedire) la comunicazione.
In questo senso la forma (colori, organizzazione, accessori, riferimenti…… ) incidono sulla nostra percezione (noi “percepiamo” la realtà) quindi l’approccio quantitativo allo spazio è importante ma da solo non sufficiente
La vastità, la luminosità, la capacità di accogliere di uno spazio non è legato solo ai metri quadri, ai lumen o alla temperatura dell’aria. La qualità dello spazio è qualità di vita e quindi nasce dalla relazione e dunque sono le persone che fanno accogliente lo spazio. Lo spazio personale è importante ma non è nel possesso che si risolve il problema della qualità che invece passa attraverso una organizzazione intenzionale che ci consente di apprezzare ciò che ci circonda, cioè la vita.

Sappiamo, abbiamo tutti avuto l’esperienza, di una casa confortevole perché i semplici mobili sono stati scelti con cura affinché esprimessero relazione con l’ambiente che li ospita, relazione tra di loro e relazione con i suoi abitanti.
Chi entra in questa stanza scopre il piacere e la disponibilità all’accoglienza spesso più che in sale arredate all’ultima moda e con elementi costosi, ciascuno dei quali prezioso ma appunto privo di relazioni. La sensazione del bello non ci perviene da un gruppo di begli oggetti messi insieme senza emozione ma dal rapporto che questi riescono a stabilire tra di loro e con noi.
La modalità con cui usiamo le cose fa parte di quel linguaggio non verbale che è proiezione di se stessi. Entrando in una casa capiamo subito se siamo dinanzi ad uno spazio arredato con amore oppure dinanzi ad una mostra di bei mobili.

Le energie usate per la cura dello spazio sono utili per la vita. Oggi è molto importante ripensare alla qualità della vita, al significato che va attribuito a questa frase, che non può nascere da un fatto economico di mercato ma dalla relazione positiva che siamo riusciti a instaurare con la realtà, dalla capacità di stabilire un rapporto affettivo con esse. Un tavolo di legno o un vecchio mobile sono pensati per venir conservati e il loro uso ne aumenta il significato e quindi il valore; un oggetto di plastica è perfetto quando viene messo in commercio ma appena usato diventa immediatamente rifiuto.

Stiamo vivendo un momento di transizione importante in cui le pressioni al consumo sono immani e contemporaneamente sappiamo che questo ci porta alla distruzione, alle guerre perché le risorse non sono infinite e sempre più persone vogliono utilizzare sempre di più. Invertire la corsa al consumo non è semplice perché sottrarsi alle dinamiche esterne richiede autocontrollo, autostima, cultura “ambientale” cioè della qualità.
Ecco: il consumo fa riferimento alle quantità, il piano alternativo è quello delle qualità. Allora bisogna capire bene cosa “è meglio”. Per esempio mangiare qualcosa di eccezionale da soli o due spaghetti in compagnia, avere il superfluo e rischiare di avere i figli che si drogano, andare sempre più veloci e rischiare di morire, accumulare roba e non aver tempo per usarla, avere tante conoscenze fugaci o affetti profondi, una casa elegante oppure ospitale, ecc. Questo senza voler dare giudizi di merito (spesso non siamo effettivamente liberi / capaci di scegliere).

casa comunicare accogliereUna volta chiarito cosa intendiamo per “qualità”, bisogna individuare gli strumenti, che in questo caso non possono essere tecnologici (come invece il sistema del consumo in maniera fraudolente ci consiglia) ma culturali. La tecnologia è oggi eccezionale ed è in grado si dare risposte sofisticatissime ma la domanda non può che essere culturale, cioè umana.
Ma come si modifica la cultura?
Essenzialmente nella famiglia, indicando i valori e dando l’esempio nelle piccole cose quotidiane (non nei grandi eroismi episodici).
Anche il consumo di beni, una volta raggiunti livelli base (mangiare, coprirsi, abitare) non migliora la percezione della qualità della vita. Soddisfatti i bisogni essenziali la curva della percezione del benessere è indipendente dalla quantità di spesa. Per esempio capita che due coniugi dopo tanti viaggi fatti all’estero, magari spendendo più dei loro stipendi, trovano che il più bel viaggio sia stato un fine settimana vicino casa a scelto per motivi di pastorale.
I nostri nonni ritenevano confortevole (e apprezzavano) un livello di benessere molto più basso del nostro.
Ricordarsi: consumo e risparmio sono due facce della stessa categoria, la categoria delle quantità. Occorre invece fare un salto verso la qualità, verso i valori, amare le cose e le persone e capire che cosa si fa del risparmio a cosa serve aver risparmiato. In questa ottica anche il risparmio diventa un dato educativo. Senza questa cornice diventa una privazione, una inadeguatezza.

Facciamo a questo punto una breve digressione nel rapporto che esiste tra prezzo e qualità per esempio riferendolo ad una casa in campagna.
“Se tale edificio è costruito in un luogo con una bella vista, la gente potrebbe essere disposta a sborsare di più per il panorama mille sterline in più, le quali potrebbero essere aggiunte al prezzo di base. Ma la cosa riguarderebbe solo l’acquirente e il venditore. Se la casa fosse costruita, il panorama andrebbe perduto agli occhi del pubblico, nascosto dalla casa stessa, e il valore di tale perdita non si può affatto valutare con precisione in termini economici. Sulla base di questa analisi dei costi e dei benefici, c’è gente convinta che una parte della stupenda campagna britannica sia già stata irrimediabilmente sciupata. Bisogna dunque fare una distinzione tra valore e valutazione.

Il valore è dato da ciò che qualcosa vale intrinsecamente: la valutazione è il valore economico che la gente in un dato momento pagherebbe per quella cosa. I due aspetti non sempre si possono far coincidere. L’ opportunità di nuove autostrade è stata valutata sulla base del valore economico del tempo che verrebbe risparmiato e degli incidenti evitati. Il calcolo è stato fatto per l’autostrada di Okehampton, nel Devon. Tuttavia non è possibile stabilire un valore per il rumore, oppure per la bellezza intrinseca di una campagna come quella di Dartmoor, dove ora c’è un’intrusione visiva sgradevole. Ecco cosa disse il capo indiano Seattle al presidente degli Stati Uniti: «Come potete comprare o vendere il cielo, il calore della terra?». (H.Montefiore, Tempo di cambiare – le radici bibliche dell’ecologia, Ed. Messaggero Pd 2000)

Si aprono in questa ottica una serie di quesiti:
cosa significa, per noi oggi, “benessere”?
Da cosa dipende la percezione di sentirsi bene?
Come può essere incentivata questa percezione?
Come si può fare affinché le persone adottino un metro corretto nelle scelte?
Torna qui in campo la “relazione”.
Innanzitutto questa percezione di vivere una vita di qualità è sostanzialmente connessa al sentirsi parte di una comunità, via via sempre più allargata sino a comprendere tutta l’umanità. Solo sentendosi “legati” agli altri possiamo sviluppare la consapevolezza, la cultura, la fratellanza, la coscienza.
L’altro fattore fondamentale per la percezione del benessere è connesso all’educazione, cioè alla formazione di una scala di valori che in qualche misura ci ponga al riparo dalle pressioni consumistiche e materialistiche.
Il futuro della civiltà dipende da questo cambiamento etico e culturale nella percezione del mondo, che coinvolge in primo luogo la formazione. La formazione deve passare attraverso la pratica, che assume un ruolo speciale in quanto una competenza sui fatti, sui valori e sui significati richiede una responsabile e autonoma elaborazione delle concrete risposte ai problemi.

Questa formazione ad una umanità più “naturale” trova all’interno del nucleo familiare radice di consapevolezza, conoscenza, capacità e attiva partecipazione. Si tratta di stabilire con il mondo un rapporto estetico basato sulla percezione sensoriale e spirituale che accoglie e stima la realtà in tutte le sue relazioni, strutture e settori, nelle forme viventi o inanimate.
Il sistema economico/consumistico nel quale siamo immersi determina invece mercificazione delle azioni, disastri ambientali, sopraffazione. Nella nostra azione i risultati sono meno importanti dell’azione stessa. Se ciascuno si confronta con la dimensione immane dei problemi ne rimane schiacciato. Tuttavia quello che non possiamo fare nessuno ci chiede di fare; come uomo (e come cristiano) so che devo fare tutto quello che posso nella direzione della giustizia.
Allora, cosa posso fare per oppormi a queste dinamiche stritolanti?
Smettere di pensare in termini di quantità (cioè di somme) e passare sul piano della qualità (cioè di moltiplicazioni). In altre parole, stabilire un rapporto affettivo con la realtà che mi circonda, un amore che coinvolge le persone ma anche lo spazio.
Cosa discende da questo?
Che la casa non è un insieme di mobili ma un intreccio di relazioni (tanti mobili belli possono determinare una stanza più brutta di alcuni oggetti ben accostati) organizzate per aiutare ad amare. Perché amare è relazione, cioè è comunità, cioè moltiplicazione.

La fede cristiana sostiene che il valore intrinseco delle cose è più importante della valutazione economica. Poiché il cristianesimo è una religione di incarnazione, le cose materiali sono molto importanti. Ma le decisioni sulla questione ambientale non dovrebbero essere determinate soltanto da preoccupazioni di ordine economico. Le decisioni implicano il giudizio, e quel giudizio deve tenere conto sia dei valori sia della valutazione. Oggi, il sistema economico spinge per un “pensare singolo” perché il singolo è più malleabile, ha più bisogni, si sente più indifeso.
Questo rilancia il ruolo della famiglia che può ancora diffondere dei valori e deve insegnare cosa è giusto e cosa è sbagliato rispetto alla “qualità della vita!”. L’educazione deve quindi orientare a far stabilire con il mondo un rapporto “estetico” basato sulla percezione sensoriale e spirituale che accoglie e stima la realtà in tutte le sue relazioni, strutture e settori, nelle forme viventi o inanimate, comunque sempre mirabilmente collegate.
Ci è chiesto di fare tutto quello che è in nostro potere per costruire una scala di valori.
Per determinare rispetto, stima e capacità di giudizio capaci di proteggere la vita in tutte le sue dimensioni è importante apprendere il giusto senso delle cose che non può svilupparsi se non in una dimensione etica segnata dall’empatia e dalla preoccupazione partecipe verso il mondo, tenendo presente che è possibile apprezzare e proteggere solo ciò che si percepisce e si ama.

Va detto che l’educazione ambientale costituisce essa stessa un’opportunità per l’evangelizzazione aprendo nuovi accessi alla fede in quanto insegna ad essere attenti, a cercare e a sperimentare la presenza della divinità nella creazione continua. È importante per altro (non per i risultati ottenuti ma per i processi educativi connessi) che l’apprendimento si sviluppi in collegamento con azioni pratiche perché se non si dimostra la possibilità concreta di impegno individuale, la percezione dei problemi globali può determinare effetti oppressivi e paralizzanti. Per mantenere desta la speranza di uno sviluppo capace di futuro bisogna “Pensare globalmente, agire localmente”.
Nel senso che la progressiva estensione della preoccupazione non deve tuttavia mai farci perdere il contatto con il quotidiano e l’impegno diretto su ciò che ci circonda, cioè sul nostro “prossimo” sia esso umano, o solo vivente, o solo materiale.
Le cose materiali sono importanti per vivere ed è buono tutto quello che facilita la vita. Occorre la progettualità dello spazio casa, avere rapporti affettivi con le cose, prendere coscienza del se tramite lo spazio.
Accogliere è faticoso ma costruisce relazioni, la tenda di Sara con le quattro porte ci mostra che la casa è luogo di accoglienza e relazione.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice a Pietro di buttare la rete dall’altra parte… occorre cambiare il nostro modo di essere e di pensare, lasciare le deboli certezze per cercare la forza dell’interrogativo.

La forza di persuasione cresce se molti singoli, gruppi e istituzioni si dimostrano pronti a sostenere i sacrifici che chiedono agli altri. Una strategia tesa a rendere più sostenibile l’agire collettivo richiede sia una maggiore partecipazione dei cristiani alle decisioni collettive e politiche sia una formazione capace di confrontarsi con la pratica quotidiana. In entrambi i casi si tratta di assumere competenza sui fatti leggendoli attraverso i loro valori e i loro significati attraverso una responsabile elaborazione di risposte ai problemi.
Tra le tante cose, ci tocca re-imparare ad abitare, spingere lo sviluppo dell’edilizia residenziale perché sia a misura d’uomo e favorisca le relazioni. Sicuramente il sistema di aggregazione di un centro storico ha molto da insegnare a qualunque architetto contemporaneo.
Per cui possiamo chiederci:
qual è la differenza più immediata tra centro storico e periferia, quali sono i pregi e i difetti dell’uno e dell’altro?
Se ipotizziamo che la conformazione dello spazio modifica la percezione del mondo, in che maniera il centro storico e la periferia orientano il nostro modo di essere?
Ed è davvero impossibile mettere insieme solo i pregi dell’uno e dell’altro?
Oppure:
data l’importanza dell’ambiente su gli stili di vita come si può organizzare la casa a tale scopo?
Si può educare all’accoglienza a alla condivisione anche in base alle scelte “semplici” come l’arredamento o la destinazione dei vari spazi della casa?
Come può essere funzionale ad una educazione rispettosa dell’ “uomo in relazione” la scelta di come strutturare la propria casa e dove scegliere di abitare?

Una riflessione finale: un atteggiamento di affettuosità (rapporto affettivo con la realtà) e di protezione dello spazio e dell’ambiente (l’ecologia) è sempre un punto centrale per una politica di pace preventiva (le guerre per il possesso, dal piccolo microcosmo individuale all’intero Pianeta) e di salute preventiva (salute in relazione con inquinamento, alimentazione, epidemie…).

Relazione di Ugo Sasso

By Giovanni Sasso

Si occupa di tutti gli aspetti legati alla bioarchitettura nella progettazione urbanistica ed edile, ingegnerizzazione di strutture in legno-paglia, consulenza energetica. Presidente INBAR, Esperto in Bioarchitettura INBAR, Progettista Junior Casaclima, Corso Progettista PassivHaus, Progettista di Piani Urbanistici, Net Zero Energy Buildings, Passivhaus, ideatore di un unico sistema costruttivo in paglia. Formatore in master, corsi e convegni su bioarchitettura, certificazione e diagnosi energetica, materiali. is an expert in Bioarchitecture by INBAR Italian Institute of Bioarchitecture sassobrighi.com