Non provo alcuna soddisfazione nel fare efficienza energetica.
Ritengo che sia come mettere il giusto numero di ferri in un getto di calcestruzzo, tirare il giusto i raggi di una bicicletta o gettare nel bidone un’immondizia. Si tratta di una azione dovuta. Il Minimo che una persona responsabile e civile, che sia in grado di copiere il gesto, è tenuta a fare. Ma nulla di più.
Ho invece sgomento dell’esperienza vissuta in tanti corsi sull’efficienza energetica rivolti a progettisti architettonici, duranti i quali ho vissuto l’esperienza di persone allo sbando nei riferimenti, che cercavano in un ipotetico standard energetico la soluzione, anche architettonica, a tutti i mali della città è alla propria sensazione di carenza di riferimenti progettuali.
Questo non toglie che l’efficienza energetica sia fondamentale.
Il cemento senza il giusto ferro non sta su; la ruota se i raggi non sono tirai non scorre bene; la città senza una gestione dell’immondizia non è vivibile. Ma questo non ci basta per vivere. Non é l’efficienza energetica che ha animato i miei studi. Mi ricordo con un filo di malinconia i primi esami di architettura animati da grande passione per la ricerca di immagini e soluzioni. Il mio rammarico é che a quelle istanze non sia stata data all’università la risposta giusta. Tuttora l’architettura vaga al buio di un gratuito eclettismo e tutti -tranne i tecnici formati- si rendono conto dello smarrimento che nasce in un contesto dove chiunque può dare qualsiasi risposta. Trovo che il più grande e difficile compito della Bioarchitettura sia “isolante la resa via” e formare, in assenza di altri riferimenti culturali validi, progettisti che sappiano che cosa cercano, prima di cercarlo. solo così si potrà essere efficienti; non solo energeticamente.