L’antropologo francese J.C. Galey scopre negli anni ’70 nelle montagne dell’Himalaya orientale un esempio di feudalesimo incentrato sul debito perenne. In questa regione si è stabilito nel tempo un rapporto tra una casta di vincitori e i sudditi vinti che perpetua una relazione tra i due gruppi basata sul debito, che i secondi contraggono verso i primi. I poveri non hanno la possibilità di “vendere” la propria forza lavoro, non esistendo un libero mercato cui offrirla e contraggono debiti per sopravvivere con i signori di turno che appartengono alla casta dei vincitori. “In cambio del lavoro ricevono abbastanza per sfamarsi, vestirsi e ripararsi dalle intemperie” (rif. 1). Questo debito non si esaurisce mai; il risparmio non esiste come categoria finanziaria e i vinti non hanno alcuna possibilità di realizzarlo per affrancarsi dalla schiavitù del debito. Quando accadono eventi eccezionali come matrimoni e funerali, i vinti sono costretti, per ripagare la dote e gli interessi relativi, o per sostenere le spese funerarie, a mercificare le giovani contadine, oppure a costringere i bambini a lavorare come schiavi. Questa situazione è accettata da tutti e nessuno pensa a rinunciare alla dote, per esempio, per non dover sacrificare le giovani donne. Il debito viene accettato come un fatto inevitabile al pari della nascita e della morte.
“L’alterazione del codice comportamentale della società è così forte da rompere i legami più solidi e duraturi come quelli di sangue tra genitori e figli. E chi ne fa le spese, naturalmente, sono le donne ed i bambini, deboli ma allo stesso tempo desiderabili, perfetti quindi per essere ridotti a merce di scambio” (Rif. 1). I signori usurai controllano il potere economico, quello politico e diventano depositari del codice morale; possono influire sulle condizioni di vita di tutti gli altri. La commistione tra principi finanziari e quelli morali produce il concetto del debito come obbligo morale anche se perpetrato con opera di usura. Questa è, a sua volta, generatrice di nuovi interessi sugli stessi interessi del debito dando vita al fenomeno dell’anatocismo, non a caso vietato da molte religioni e costituzioni. L’equazione debito = onore pone il debitore in una condizione psicologica di sudditanza nei confronti del creditore per evitare di cadere nel dis-onore sociale. Si perde di vista se la natura del debito sia accettabile moralmente, ovvero abbia come scopo la possibilità di creare ricchezza e di migliorare le condizioni di vita di chi l’ha contratto, anziché peggiorare la sua situazione spingendolo nella spirale dell’usura. La strumentalizzazione del debito come leva “morale” e la perpetuazione di condizioni economiche (e finanziarie) che impediscano l’estinzione dello stesso da parte del debitore, sono caratteristiche che consentono di definire un debito come “odioso” e non degno di essere onorato. Il creditore vanta una superiorità morale nei confronti del debitore il quale, per mantenere il suo livello di onorabilità all’interno del contesto sociale in cui vive, è costretto a vendere o impegnare ogni suo avere (compresi persone ed affetti famigliari) mantenendo un puro livello si sussistenza. Il risparmio, lo strumento mediante il quale è possibile affrancarsi da una condizione di povertà, viene, di fatto, impedito dal creditore che mantiene il controllo totale della gestione economica e finanziaria della società, nonché quella “morale”. “Che differenza c’è tra la cultura barbara del debito perpetuo dell’Himalaya e la crisi del debito sovrano? Nessuna.”. (Rif. 1) In Europa siamo di fronte a debiti esorbitanti la cui natura è alquanto discutibile e i meccanismi imposti per farvi fronte sembrano reiterare ed aumentare il debito, bloccano di fatto lo sviluppo e soffocano il risparmio condannando il debitore ad uno stato di sudditanza perenne.
4) Divieto di transazioni finanziarie con i paradisi fiscali e lotta alla massiccia evasione fiscale delle grandi imprese e degli straricchi; 5) Messa al bando dei ‘pacchetti tossici’ e della speculazione finanziaria sul cibo; 6) Distinzione tra banche commerciali e banche di investimento; 7) Divisione delle banche ‘troppo grandi per fallire’ in entità più controllabili; 8) Apertura di istituti di credito totalmente pubblici; 9) Imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie per la ‘tracciabilità’ dei trasferimenti e un’altra sui grandi patrimoni; Riferimenti: (1) “Democrazia Vendesi” di Loretta Napoleoni ed. Rizzoli (Prologo) (2) “Il banchiere dei poveri” di Muhammad Yunus (Nobel per la pace 2006) ed. Feltrinelli (3) “E’ morale pagare il debito?” di Padre Alex Zanotelli su http://www.democraziakmzero.org (4) “Il debito pubblico, un mostro generato dall’usura” da Savino Frigiola, RINASCITA, pubblicato su http://ilgraffionews.wordpress.com ampie parti di questo testo sono tratte dall’articolo: http://dimensione3repubblica.blogspot.it/