Una norma del 1968 sancisce tuttora  i limiti di distanza tra fabbricati (introducendo per primo la famosa distanza di 10m tra fabbricati), i limiti di altezza e di densità edilizia. Il DM 1444/68 per 20 anni circa resta lettera morta, disattesa dai Comuni e dai privati, fino a che durante gli anni ’80 non scoppiano le prime cause con richiesta di demolizione degli edifici non conformi, per lo più finite con pesanti transazioni per l’ignaro o furbo di turno. Ma da dove salta fuori una norma del genere? le sue origini sono da rintracciare nel decadimento della concezione unitaria del territorio e del paesaggio ed al passaggio ad una visione di tipo scientifico-analitica, che cerca la soluzione del benessere scomponendo il problema, dividendo il territorio in sotto-unità da analizzare singolarmente. Il territorio passa da essere organico ad essere la somma di unità. Si risolvono le richieste di comfort e qualità della singola unità, si moltiplica per 100 e si è convinti così di ottenere un territorio comfortevole e di qualità. Abbandonando la vista di insieme si traspone la ricerca di soluzioni da elementi qualitativi ad elementi quantitativi. Alle viste, scorci, panorami, proporzioni, accordi, si sostituiscono la quantità di aria e di luce (1/8 della superficie del pavimento), la quantità di visuale (10m dal vicino), la quantità di spazio (9m2 per la singola, 14m2 per la matrimoniale). Quella che era la ricerca di soluzioni per problemi di altri tempi e di altri luoghi (il 1800 delle metropoli industriali) diventa la regola per il benessere del XX secolo. Facendo questo passaggio di sminuzzamento del territorio e ricerca di soluzioni alla scala della singola unità abitativa, si perde di vista il contesto e la visione generale delle cose. Quelli che erano i fronti stradali dei 1000 cetri storici italiani si disgregano. Le nuove strade sono sequenze disordinate e scoordinate di edifici-grissino piantati nel terreno, ognuno con i suoi 5m di frustoli di verde intorno, senza nessun rapporto con l’intorno.  Questi nuovi edifici staccati dal contesto cercano allora di esaltare la propria unicità, creando così strade, quartieri e città di case tutte diverse e così tanto più tutte uguali a sè stesse. Ora si incomincia a rendersi conto dell’anacronismo di norme quantitative di stampo igienico-sanitario, che nulla hanno a che fare con la qualità del vivere. L’Emilia Romagna é tra le prime regioni in Italia a sfruttare il DL 21/6/2013 n. 69 (c.d. “del fare”), che consente alle regioni di derogare il DM 1444/68.  Con la LR 17/2014 deroga in caso di interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente. La breccia è aperta!  Con una reattività di 50 anni l’amministrazione pubblica constata i danni creati e torna sui suoi passi. Le istanze dell’INBAR, Istituto Nazionale di Bioarchitettura che da un ventennio porta avanti la concezione organica del territorio, al di là ed oltre il mero fattore numerico, cominciano a trovare ascolto.

By Giovanni Sasso

Si occupa di tutti gli aspetti legati alla bioarchitettura nella progettazione urbanistica ed edile, ingegnerizzazione di strutture in legno-paglia, consulenza energetica. Presidente INBAR, Esperto in Bioarchitettura INBAR, Progettista Junior Casaclima, Corso Progettista PassivHaus, Progettista di Piani Urbanistici, Net Zero Energy Buildings, Passivhaus, ideatore di un unico sistema costruttivo in paglia. Formatore in master, corsi e convegni su bioarchitettura, certificazione e diagnosi energetica, materiali. is an expert in Bioarchitecture by INBAR Italian Institute of Bioarchitecture sassobrighi.com